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PSICO-PEDAGOGIA
L'educatore nel carcere minorile. Formazione e competenze
Nella logica della formazione continua rientra anche la capacità di vedere la propria e la altrui situazione educativa con la prospettiva della trasformazione e del cambiamento. La trasformazione della situazione, anche se talvolta impercettibile nei contesti di disagio e di problematicità sociale, si concretizza e si realizza grazie anche alla competenza riflessiva che permette di costruire il progetto e l'intervento negli spazi della rappresentazione e della interpretazione dell'azione nel corso dello spazio, del tempo e delle relazioni che sono proprie dell'azione stessa.
Nel pensare ai contenuti della formazione dell'educatore in carcere, risulta importante considerare che non i riferimenti teorici e i modelli metodologici pedagogici devono essere scelti in coerenza con la prospettiva con la quale si guarda e si pensa l'intervento educativo. C'è quindi bisogno di costruire la propria progettualità educativa su impalcature teoriche forti che sostengano la persona come soggetto di sviluppo di potenzialità umane, come portatore e trasformatore di conoscenze e competenze sociali e culturali. Ci riferiamo a quelle teorie come l'attivismo, il costruttivismo, il problematicismo che, seppur con prospettive diverse, pongono il soggetto in educazione al centro del suo farsi educativo impegnandolo in una responsabile e partecipe costruzione di conoscenze. Sono prospettive teoriche che danno gli strumenti per individuare le i possibili percorsi di smontaggio di modellizzazioni rigide e stereotipate della realtà che richiedono il costruirsi e l'attivarsi di forme di autoconsapevolezza e responsabilità personale e sociale. Modelli che permettono di comprendere il farsi dei processi di apprendimento, la significatività e gli spazi delle proposte di intervento educativo. Non si entra nella prospettiva di una "rieducazione", non è possibile cancellare, rimuovere le esperienze, ma è possibile ricomprenderle, riaprirle dentro nuovi orizzonti e reintepretarle.
Alcune metodologie aiutano questi tipi di approcci, quelle metodologie, appunto che partono dal soggetto, che lo chiamano in azione già scuotendolo e impegnandolo nella riflessione delle sue capacità e potenzialità, ma anche nella possibile definizione dei suoi bisogni, delle sue attese e delle sue aspettative.
Nell'esperienza educativa del carcere le categorie dello spazio e tempo assumono un significato molto particolare: i ragazzi percepiscono quel luogo come il "luogo che non c'è", così come le ore che trascorrono come momenti superati verso un qualcosa che avverrà. Sono luoghi e tempi di passaggio, nei quali il pensare di "investire" sulle azioni educative, nei quali progettare un percorso di nuove dinamiche relazionali e di cambiamento, diventa quasi un paradosso. Eppure l'agire educativo si sviluppa anche lì perché si apre al dialogo con la rete di luoghi educativi che vivono nel territorio e sono fisicamente esterni al carcere. Per questo le metodologie come la Ricerca Azione Partecipativa, la Relazione di Aiuto, la Community Learning sono approcci che contribuiscono ad attivare processi di cambiamento, nuovi apprendimenti di saperi e ipotesi di autoprogettazioe. Se si esce da una prospettiva di autoreferenzialità dell'azione educative, se si allarga la visuale ad una progettazione educativa in una rete territoriale, per entrare nelle dinamiche di un sistema più ampio di possiamo forse offrire nuovi strumenti di riflessione pedagogica oltre che di ipotesi di prospettive orientative per le nuove esperienze di vita dei ragazzi
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